Don't call them pets!
[Foglie sparse #66] Una riflessione su un articolo pubblicato su The Guardian dedicato agli animali domestici (o così sembra).
Buona domenica!
È da un po’ che non ci si sente. Qualche impegno mi ha tenuta lontana dalla newsletter (sono sincera, potrebbe capitare ancora) e due settimane fa ho mancato il nostro appuntamento.
Oggi mi piacerebbe riflettere insieme a te su un articolo pubblicato nelle pagine del sito del The Guardian: è un editoriale di uno storico dell’ambiente, Troy Vettese, intitolato Want to truly have empathy for animals? Stop owning pets, in italiano Vuoi provare veramente empatia per gli animali? Smetti di possedere pets. Non ho tradotto appositamente pets perché è proprio questo il cuore della questione.
Foto di Adriana Morales da Pixabay
Le parole sono importanti
Anche in questa newsletter non potevo esimermi da citare una famosissima scena del film di Nanni Moretti, Palombella Rossa.
Chi parla male, pensa male. E vive male. Bisogna trovare le parole giuste, le parole sono importanti.
Sarà per questo che nutro una certa diffidenza per la parola pet e l’articolo del Guardian conferma che forse non ho tutti i torti. Non pensare che io sia una fondamentalista del lessico: in contesti in cui è necessario usare pet per fini di classificazione o, purtroppo, per l’ottimizzazione di articoli sui motori di ricerca (ossia per farti trovare più facilmente un mio contenuto quando lo cerchi su Google), mi tocca cedere.
Perché non mi piace la parola pet riferita agli animali domestici (nota bene: non ho usato neanche la definizione “animali da compagnia”)? Non perché è inglese, come forse avrai inizialmente immaginato, ma in quanto portatrice di significati che allontanano dalla considerazione degli animali nella loro alterità, la loro animalità e la diversità derivante da questo, privandoli del loro ruolo nella relazione che vi instauriamo.
Il pet, così come “l’animale da compagnia”, è lì per noi: è il cane che abbiamo comprato (o adottato) per i nostri figli, magari con le migliori intenzioni ma senza aver pensato se le sue esigenze potessero essere compatibili con le nostre, o il coniglietto che abbiamo preso per colmare qualche lacuna affettiva. Nei casi peggiori è la proiezione di noi stessi, del nostro status, come i bulldog francesi che tanto vanno di moda, comprati perché visti sul profilo di qualche personaggio famoso e che, in realtà, sono cani che soffrono di gravi patologie a causa della conformazione del loro muso data da una selezione estrema. Altro esempio da brivido sono gli animali presi unicamente per registrare video “divertenti” sui social media (ti sembrerà strano, ma mi è stato raccontato anche questo).
I motivi per condividere la vita con un animale dovrebbero essere altri, dovremmo volere instaurare un rapporto con l’altro, comprendendo e rispettando le sue diversità e imparando da quest’ultime (se questa frase ti suona familiare è perché lo stesso andrebbe fatto con gli animali umani). Qualcosa di prezioso che ci perdiamo trattando un animale da pet.
Cosa c’entra l’articolo che ho citato con tutto questo?
Un po’ di dubbi sull’editoriale
Ho provato a non schierarmi troppo leggendo l’articolo Want to truly have empathy for animals? Stop owning pets, ma ammetto di non esserci riuscita.
Ora, a parte che se dovessimo parlare di termini opportunamente adoperati, nemmeno empathy e owing mi soddisfano troppo, perché per proteggere gli animali non dovrebbe esserci bisogno di provare empatia per loro (abbiamo scienza e legge che ci possono aiutare a tutelarli, nel mio mondo ideale) e perché siamo nel 2023 e dovremmo iniziare a capire che un altro essere vivente non si possiede. Però… però… però… come forse ti ho già accennato, i titoli non sono scritti quasi mai dagli autori degli articoli e, per forza di cose, devono catturare l’attenzione. E quindi soprassiedo.
Tuttavia, il resto del testo non scherza e ci sono talmente tanti riferimenti, concetti, definizioni e dati — mescolati e incompleti, resi drammatici più o meno appropriatamente — di cui si potrebbe discutere per settimane e per cui non basterebbero altre 10 newsletter per essere esaurienti. Concentriamoci su un solo punto: Troy Vettese sostiene che se tenessimo realmente ai pet (e continuo a usare questa parola perché in questo momento ha un senso) decideremmo di lasciarli liberi.
Una tesi che, se ragioniamo sul confronto tra il concetto di pet e di animale domestico, inizia un po’ a cedere.
Questo perché è molto diverso parlare di un cane, una specie addomesticata che condivide la sua storia, l’evoluzione e l’ambiente in cui vive da oltre 30.000 anni con noi umani, e di un pappagallo che è un animale selvatico e per cui sì, anche io vorrei che si “aprissero le gabbie” (malgrado la legge li riconosca appunto come “animali da compagnia”).
Con specie addomesticate intendo tutte quelle che hanno attraversato il processo di domesticazione: una selezione operata dall’uomo e durata migliaia di anni, che ha comportato modificazioni del comportamento, del ciclo biologico, della stessa fisiologia di questi animali e ha condizionato anche la nostra stessa evoluzione. Noi e loro abbiamo una storia strettamente condivisa.
Ne deriva che un conto è trattare gli animali domestici come pets, un altro è prendersene cura considerando i loro comportamenti e le loro proprie esigenze individuali.
La stessa cura servirebbe per evitare la diffusione di malattie e le morti dovute alla vicinanza con gli animali e i problemi legati alla gestione di gatti e cani in relazione alla fauna selvatica (per farti un’idea su questa questione, molto spinosa, ti rimando qui e qui) citati nell’articolo di Vettese.
Non entro in merito della connessione con la produzione di mangime (allevare e uccidere animali per sfamare altri animali) — anche questa inserita nell’editoriale — in quanto buttare giù qualche dato impressionante in un paragrafo di 6 righe, senza un confronto con esperti in filosofia, bioetica, veterinaria ed economia — solo per citare alcune delle discipline da coinvolgere — significa essere un tantino superficiali e non avere intenzione di discutere di una situazione complessa. Ma l’articolo potrebbe voler essere provocatorio… chissà!
Pets o animali domestici?
L’autore scomoda anche un racconto di fantascienza con significati estremamente profondi, secondo me rovinando il riferimento. Si tratta di Quelli che si allontanano da Omelas (The Ones Who Walk Away from Omelas, 1973) di Ursula Kroeber Le Guin: la storia parla di una società in cui la gioia dei suoi cittadini dipende dalla vita in gabbia, in condizioni infime, di un solo bambino. Una potente metafora che sicuramente ben si adatta a molte delle condizioni in cui versano animali umani e non umani anche nel nostro secolo. Ma credo che non sia il caso degli animali domestici, quando andiamo incontro a tutti i loro bisogni.
Su una cosa l’articolo ha ragione: non dovremmo possedere pets, dovremmo invece condividere la vita con gli animali domestici, rispettandoli.
Qualcosa da…
… leggere
🐶Per capire la storia che lega esseri umani e animali domestici, ti consiglio — come ho già fatto in precedenti newsletter — il libro Addomesticati (Bollati Boringhieri, 2016) di Richard. C. Francis.
🦊Ci sarebbe anche Come addomesticare una volpe (Adelphi, 2022), che ho recensito su Pikaia - Il portale dell’evoluzione.
📰A proposito di animali domestici in Italia: puoi dare un’occhiata al settimanale Buone notizie del Corriere della sera del 14 febbraio in cui, oltre ad alcuni dati, troverai un articolo sul nostro rapporto con gli altri animali scritto da Ermanno Giudici (che ho intervistato qualche tempo fa nel mio podcast).
📊Sempre in parte legato al tema di oggi, c’è l’undicesimo rapporto nazionale Animali in Città di Legambiente sui servizi offerti dalle amministrazioni comunali e dalle aziende sanitarie per la gestione degli “animali d’affezione” e la qualità della nostra convivenza con animali “padronali” e selvatici in contesti urbani.
… seguire
🎙️Conoscere gli animali con cui si condivide la vita significa capirli e far fronte alle loro necessità. Se vivi con un cane, un gatto o un coniglio o semplicemente ti incuriosiscono, ti aspetto il 24 marzo, alle 21:00, sul canale YouTube del CICAP - Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze, per una chiacchierata con l’etologa Lorenza Polistena (Behanimal su Instagram).
Direi che per oggi è giunto il momento di salutarci.
Buona giornata e ci sentiamo tra 2 settimane (forse 😁),
Alessia