Foglie sparse | Esplodere bolle, abbattere muri
Ciao, rieccoci qui per il nostro appuntamento domenicale 😊
Per questa email avevo in mente un altro argomento, ma il ritorno alla socialità di questi giorni mi ha spinto verso altri percorsi.
Condividere i mezzi di trasporto o ritrovarsi a conoscere nuove persone durante una festa, possono essere esperienze che ci spingono a confrontarci anche con chi ci sembra più distante. Queste occasioni andrebbero cercate off come online. È un pensiero che può sembrare banale, ma su cui mi sono resa conto è importante riflettere, soprattutto se si lavora nella comunicazione.
A volte (a volte?) noi giornalisti siamo compiaciuti e soddisfatti del nostro pubblico più stretto quando, invece, dovremmo prendere metaforicamente i nostri zaini e partire in missione civilizzatrice.

Sai cos'è una bolla di filtraggio?
Intrappolati in una bolla
Nel 2011, Eli Pariser, imprenditore e attivista, pubblica un saggio dal titolo "The Filter Bubble: What the Internet Is Hiding from You" ed è tra quelle pagine che per la prima volta compare la definizione di filter bubble, bolla di filtraggio:
"quel personale ecosistema di informazioni che viene soddisfatto da alcuni algoritmi".
Per capirci meglio, chiedendo aiuto alla Treccani:
"L’ambiente virtuale che ciascun utente costruisce in Internet tramite le sue selezioni preferenziali, caratterizzato da scarsa permeabilità alla novità e alto livello di autoreferenzialità".
In parole povere, tutte le volte che cerchiamo qualcosa su Google, clicchiamo una reaction su Facebook o condividiamo un post, aggiungiamo un cuore a un tweet e così via, gli algoritmi utilizzati per personalizzare e rendere più piacevole la nostra esperienza online restringono sempre più il campo di ciò che compare sullo schermo a tutto ciò che ci piace, escludendo il resto.
Non spaventarti, il fenomeno è meno grave di quanto inizialmente si credesse: i social network e i motori di ricerca non sono ancora in grado di farci il lavaggio del cervello, a meno che non siamo noi a volerlo.
Bolle epistemiche e camere d'eco
Spulciando un po' in rete, ho trovato un interessante articolo del filosofo C. Thi Nguyen su questo tema: è una visione più approfondita del fenomeno, una lettura che ci fa capire meglio determinate dinamiche che esistono anche offline.
Si parte con le definizioni di bolle epistemiche e camere d'eco:
una bolla epistemica è una struttura epistemica sociale in cui le altre voci rilevanti, legate a una determinata tematica, vengono lasciate fuori forse per caso, sono omesse. Se non mastichi filosofia, è "epistemico" ciò che afferisce all'ambito della conoscenza. Le filter bubble possono essere bolle epistemiche: i social ti presentano sul piatto solo ciò che ti piace ma puoi riuscire - anche casualmente - a trovare altre informazioni dissonanti e a uscire dalla tua confortevole bolla;
una camera d'eco è una struttura epistemica sociale da cui le altre voci rilevanti sono attivamente escluse e screditate. È riconducibile a quello che accade in una setta.
Se le pareti della prima sono di sapone e scompaiono al soffio dell'esposizione alle voci escluse in prima istanza, la seconda ha muri di cemento che i punti di vista esterni tendono addirittura a rafforzare. Queste dinamiche le osserviamo tutti i giorni, in gruppi più o meno ampi e che trattano gli argomenti più disparati: dai no-vax, ai militanti politici o religiosi di qualsiasi parte o bandiera, fino ai fanatici di determinati regimi alimentari e ai complottisti di varia origine. Non guardano oltre il proprio praticello, non cercano il dialogo, mancano totalmente di scetticismo.
Demolire i muri delle camere d'eco
Specialmente in questo periodo è evidente quanto sia necessario e allo stesso tempo complesso demolire questi muri, sia dall'interno che dall'esterno. Nel suo articolo, Nguyen suggerisce la via del dubbio, dello scetticismo, un reboot - come quando si riavvia un computer - che permetta di mettere in discussione tutte le credenze su cui si fonda la camera d'eco. Mostrare le prove non serve, bisogna andare alle radici, ricostituire la fiducia nelle voci al di fuori della cerchia in cui si è invischiati.
L'aspetto sociale è fondamentale. È emblematica la storia di Derek Black: cresciuto da un padre neo-nazista e totalmente permeato di questa ideologia, quando Derek partì per il college si ritrovò solo, evitato da quasi tutta la comunità studentesca. Quasi tutta. Matthew Stevenson, uno studente ebreo, iniziò a invitarlo alle cene per lo Shabbat, la festa del riposo che si celebra ogni sabato. La generosità e le gentilezza di Stevenson riuscirono a sgretolare pian piano quel muro e oggi Black si definisce su Twitter un "Unexpected advocate for antiracism": ora è un attivista della causa antirazzista.
R. Derek Black (@RDerekBlack) | Twitter The latest Tweets from R. Derek Black (@RDerekBlack). Unexpected advocate for antiracism. Subject of the book #RisingOutofHatred by @elisaslow. History PhD student @UChicago. Baltimore, MD
Siamo tornati al punto di partenza: che sia offline oppure online, evitiamo di isolarci, di stare solo con chi la pensa come noi, usiamo la disputa felice (di cui ti ho parlato nella precedente newsletter), mettiamoci nei panni dell'altro e avviciniamolo, invece che schivarlo. È così che si abbattono i muri, è così che si comunica.
Qualcosa da...
... guardare
Eli Pariser spiega la sua definizione di filter bubble durante questo TED Talk:
E con questo ti lascio al tuo weekend. Se ti è piaciuta questa newsletter, puoi condividerla con chi vuoi tu tramite i tasti in alto a destra, oppure iscriverti o far iscrivere cliccando su questo link e seguendo le istruzioni: https://www.getrevue.co/profile/alessia-colaianni.
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Alessia