Foglie sparse | Koko, la gorilla che comunicava con i segni
Ciao,
la settimana scorsa, scrivendo la newsletter precedente, mi sono ritrovata a guardare un video la cui protagonista è una gorilla, Koko, con una storia insolita alle spalle, una storia di scienza e (forse) strumentalizzazione.
Erano i tempi della COP21, la Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti climatici del 2015 - quella dell'Accordo di Parigi per intenderci - e, a sottolineare l'importanza di giungere a un punto d'incontro, c'era anche lei, Koko. Non una gorilla qualsiasi: una celebrità perché capace di comunicare grazie a un vocabolario di più di 1000 segni e alla comprensione di 2000 parole dell'inglese parlato.
Vita di Koko
Koko era - è morta nel 2018, a 46 anni - una gorilla della pianura occidentale (Gorilla gorilla gorilla) nata in cattività, nello zoo di San Francisco, nel 1971. L'anno dopo la ricercatrice Francine Patterson iniziò a insegnarle un linguaggio dei segni americano modificato. Dopo poco Koko divenne il fulcro della The Gorilla Foundation, che ha come obiettivo la conoscenza più approfondita dei gorilla attraverso la comunicazione, al fine di migliorarne la conservazione e le condizioni in cattività.
La gorilla era la testimonial, la star da esporre per avvicinare il grande pubblico a questi temi: veniva intervistata (sotto la supervisione di Patterson), incontrava personaggi famosi - celebre l'incontro con Robin Williams, di cui sembra abbia pianto la morte -, curava un gattino come fosse un figlio, riusciva ad esprimere concetti astratti. Si racconta infatti che le sia stato chiesto dove finissero gli animali dopo la morte e lei abbia risposto "Un buco confortevole" e abbia scoccato un bacio d'addio.
Straordinario, siamo stati in grado di comunicare in un linguaggio riconosciuto con un esemplare diverso dalla nostra specie! Ma quali sono i dati scientifici a riguardo e cosa è solo polvere di stelle?
Siamo sicuri che abbia "padroneggiato" il linguaggio dei segni?
Intorno al caso di Koko non è mancato lo scetticismo di scienziati e linguisti. Ciò che esprime la gorilla è un suo "pensiero" o è la proiezione di ciò che desidera sentire chi comunica con lei? Inoltre, come ho accennato, in realtà non si esprimeva nel vero linguaggio dei segni americano ma in una versione modificata. A questo punto è importante capire cos'è un linguaggio dei segni: un linguaggio naturale visivo-gestuale basato su gesti codificati accompagnati da espressioni del volto. Non è universale, infatti esiste una lingua dei segni per ciascuna comunità linguistica. Ad esempio, quella italiana è la LIS, quella americana la ASL, e sono piuttosto complesse. Come si può osservare nei video, Koko non si esprime esattamente come farebbe un umano nel linguaggio dei segni. Come suggeriscono alcune pubblicazioni, ciò è anche dovuto alla diversa conformazione delle mani e al diverso utilizzo degli arti superiori, legati alla locomozione.
Altro problema, il lessico: un adulto americano madrelingua conosce tra 20.000 a 35.000 parole, un bambino di 8 anni circa 10.000, uno di 4 anni 5000. Il confronto con il vocabolario di Koko ci fa capire che siamo lontani dalla padronanza decantata dai media... e forse un po' anche dalla Patterson e dal suo collega Cohon che, però, nelle pubblicazioni scientifiche sono stati un po' più morigerati.
Tra apprendimento e comunicazione
In particolare, una pubblicazione del 1990 nella rivista Word sui primi 10 anni di apprendimento di Koko spiega che i dati raccolti suggeriscono che per molti aspetti l’acquisizione e la produzione nel linguaggio dei segni appaiono parallele a quella di un bambino umano, però il ritmo dello sviluppo del linguaggio è molto più lento nella gorilla rispetto a un bambino umano. Alla luce di questo gli autori affermano che lo sviluppo del linguaggio di Koko è più vicino a quello di un bambino affetto da un ritardo, il cui sviluppo segue lo schema generale ma procede a un passo più lento e raggiunge più velocemente un plateau, cioè diventa costante. La dimensione e il contenuto del vocabolario di Koko sono ristretti rispetto a quelli di un bambino; lei fa poche domande e generalizza le parole per un intervallo di tempo più esteso. Nell'articolo vengono discusse anche le possibili cause di questa "lentezza": la mancanza di interazione sociale con i suoi simili e in un ambiente a lei più consono, la cattività, i livelli di attenzione bassi e la presenza non costante di un vero e proprio insegnante di lingua dei segni. Se ti va di approfondire ci sono anche altri articoli che puoi sfogliare.
Siamo quindi davanti a un esperimento di apprendimento e comunicazione tra i primi e i più importanti nel suo genere, un primo interessante passo per la scienza. Ma certo, per i profani, non siamo ancora al livello di comunicazione interspecie del delfinesco e gabbianesco di Bud Spencer e Terence Hill (se non hai presente il riferimento altamente culturale 😅, ti consiglio di leggere la newsletter della scorsa settimana).
C'è un altro motivo per cui ti ho parlato di Koko...
Se ho deciso di dedicare questa email a Koko, è anche per il disagio che ho provato guardando quel video per la COP21. È facile sostenere che il messaggio della gorilla fosse frutto di un'imbeccata dei suoi insegnanti. Un addestramento per l'applauso del pubblico, molto lontano dalla scienza, molto lontano dalla conservazione e da una sensibilizzazione verso le tematiche ambientali che sia etica.
Abbiamo veramente bisogno di questi mezzi per preoccuparci del nostro Pianeta? Dobbiamo veramente far finta che di cambiamenti climatici ci stia parlando un animale per convincerci? Non abbiamo abbastanza dati scientifici per arrivarci da soli?
Qualcosa da...
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Un discorso di apertura della COP (quella di quest'anno, la ventiseiesima) informativo, chiaro ed emozionante è stato quello di Sir David Attenborough. Buona visione!
... leggere
Washoe era una scimpanzé, protagonista di un esperimento analogo a quello di Koko: l'apprendimento del linguaggio dei segni americano per poter comunicare con l'uomo. Di lei, del nostro rapporto con l'animalità in questo tipo di progetti e non solo, parla il filosofo Felice Cimatti nel libro Filosofia dell'animalità (Laterza, 2013).
Buona domenica e a presto,
Alessia