Cosa ho imparato da Frans de Waal
[Foglie sparse #76] Una lezione sull'oggettività in una disciplina in cui essere oggettivi è difficile
Buondì,
sono contenta di ritrovarti per questo nostro appuntamento del weekend. Come stai? La scorsa settimana, per l’esattezza sabato scorso, al ritorno da un’uscita in campagna con Willy, il mio mezzo setter, ad attendermi c’era una notizia inaspettata: pochi giorni prima, il 14 marzo, era morto Frans de Waal.
Se non bazzichi l’etologia, o la primatologia (lo studio dei primati, l’ordine di mammiferi a cui apparteniamo anche noi umani insieme a scimmie e lemuri), probabilmente questo nome non ti dirà molto. Frans de Waal era, appunto, un primatologo, scrittore, divulgatore scientifico e ha contribuito a far conoscere al grande pubblico la vita di scimpanzé, bonobo e altri primati, raccontandone le relazioni complesse, tra conflitti, riconciliazioni e altre forme di interazione.
Avevo recensito il suo ultimo libro qualche tempo fa e continuavo a ripetermi che, alla pubblicazione successiva, avrei cercato di intervistarlo. Insomma, i meme motivazionali hanno ragione: in certi casi è vitale non procrastinare e oramai ho perso per sempre l’opportunità di una chiacchierata con uno scienziato e divulgatore straordinario.
Frans de Waal è stato uno dei miei riferimenti quando ho iniziato a scrivere di animali. Ci sono lezioni preziose che ho imparato da lui e che oggi desidero condividere con te per ricordarlo.
Hai mai sentito parlare di antropomorfismo? E di antroponegazione?
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Un po’ di contesto
Prima di approdare al giornalismo e alla comunicazione, avevo affrontato un percorso di studi scientifico, con tanto di dottorato. Ero abituata, quindi, ad assumere un approccio critico e oggettivo verso dati, informazioni e fonti. Quando si legge un articolo scientifico, si progetta un esperimento o si esaminano dei dati, è fondamentale liberare la mente da convinzioni e pregiudizi: i nostri personali punti di vista potrebbero portarci, ad esempio, a spingerci a interpretare i risultati ottenuti nel modo che ci è più congeniale, magari forzando un po’ l’analisi statistica da un lato, o tirando un po’ più la giacchetta dei campioni validi da un altro.
In questo modo, però, non si ottiene una descrizione — anche solo parziale — della realtà ma solo l’immagine che ne desideriamo dare. I dati non sono mai neutri, come racconta
nella sua newsletter , ed è compito di chi se ne occupa raccoglierli, analizzarli e diffonderli, non piegandoli alle proprie esigenze o credenze.Ora, io ai tempi studiavo rocce, quindi per quanto sperassi che i miei esperimenti portassero alla conferma di alcune ipotesi formulate all’inizio del mio progetto di dottorato, non era così difficile mantenere distacco e oggettività nel lavoro.
Iniziando a scrivere di animali ho scoperto che, per chi studia il loro comportamento (e non solo), ci può essere un ostacolo in più.
Cos’è l’antropomorfismo?
Partiamo da lui.
Come molte persone che vivono con un cane, quando Willy mi leccava mi sentivo particolarmente felice: credevo fossero dei baci, una manifestazione d’affetto. Grazie all’aiuto di una educatrice cinofila e di alcuni testi, ho poi scoperto che non sempre ricevere una leccata è qualcosa di positivo, anzi, a volte è un modo del nostro compagno animale di prendere le distanze da noi.
Ci sono tanti comportamenti dei cani che noi fraintendiamo e lo facciamo spesso perché usiamo come unità per misurare il mondo che ci circonda noi stessi, le nostre abitudini, il nostro modo di percepire. Cadiamo nell’antropomorfismo.
L’antropomorfismo può essere definito come l’attribuzione errata delle qualità umane ai non umani, o almeno come la sovrastima delle somiglianze tra umani e non umani.
Non ho inserito di proposito la parola “animali” perché non sono gli unici a cui lo applichiamo. Ci accade spesso anche con le macchine e l’intelligenza artificiale. Ti sarà capitato di pensare che la stampante ti stava facendo un dispetto quando si è bloccata l’ultima volta, vero? 😁
Per chi si occupa a vario titolo di animali, l’antropomorfismo è un vero e proprio spauracchio: la nostra tendenza a proiettare noi stessi negli altri esseri viventi potrebbe influenzarci e farci arrivare a conclusioni errate, nella ricerca così come nella valutazione del benessere del nostro compagno animale o nella scrittura di un articolo divulgativo.
Del resto c’è chi ha alimentato questa nostra tendenza dalla notte dei tempi, dalle favole di Esopo e Fedro ai cartoni animati della Disney, sui cui in tanti puntano il dito quando si parla del nostro rapporto con gli animali.
Frans de Waal ha approfondito la nostra tendenza all’antropomorfismo e ha considerato l’altra faccia della medaglia, coniando il termine antroponegazione (anthropodenial).
L’antroponegazione e un esempio
In un articolo scientifico del lontano 1999, Frans de Waal definiva l’antroponegazione come
il rifiuto a priori delle caratteristiche condivise tra uomo e animale quando in realtà potrebbero esistere. L’antroponegazione è una cecità verso le caratteristiche umane degli animali o verso le caratteristiche animali di noi stessi.
Si può sbagliare in un senso e nell’altro. Si può vedere negli altri animali caratteristiche che ci appartengono ma che nei fatti non sono a loro attribuibili oppure, per antroponegazione, contestare caratteristiche che abbiamo in comune perché reputiamo che noi, animali umani, non possiamo certo essere così simili ad altre specie.
Capirai che diventa molto difficile comprendere dove segnare una linea, come evitare uno dei due pregiudizi. Frans de Waal fa un esempio e racconta la storia di un bambino di 3 anni che, nel 1996, cadde nella zona dei primati del Brookfield Zoo di Chicago. Binti Jua, una gorilla di pianura occidentale di 8 anni, salvò il bimbo: si sedette su un tronco nei pressi di un ruscello, cullando il piccolo umano in grembo e dandogli delle pacche sulla schiena, quindi lo portò fino a uno degli ingressi dell’area, lo adagiò e poi proseguì per la sua strada.
Questo episodio scatenò entusiasmo e dubbi. Non tutti erano disposti a vedere ciò che era avvenuto come un esempio di cura. Frans de Waal, però, ci racconta che chi studia i primati non è nuovo a situazioni di questo tipo (ed eravamo solo a fine anni Novanta): scimpanzé che consolano una vittima dopo un attacco violento, mettendogli un braccio intorno alle spalle e dandogli pacche sulla schiena, o bonobo che assistono i nuovi compagni nei loro alloggi nei giardini zoologici, prendendoli per mano e guidandoli attraverso il labirinto di corridoi che collegano le aree che li ospitano. Casi coerenti con l'assistenza data dalla gorilla al treenne e con l'idea che questi animali provino compassione.
In un altro testo in cui de Waal cita l’episodio, il primatologo scrive:
Il tradizionale baluardo contro questo tipo di interpretazione cognitiva è il principio di parsimonia, secondo cui dobbiamo elaborare il minor numero possibile di ipotesi quando cerchiamo di costruire una spiegazione scientifica, e che supporre che una scimmia sia capace di qualcosa come la compassione sia un passo troppo grande. Ma lo stesso principio di parsimonia non è forse un argomento contro l’ipotesi di un enorme divario cognitivo, quando la distanza evolutiva tra gli esseri umani e le scimmie è così piccola? Se due specie strettamente imparentate agiscono nello stesso modo, probabilmente anche i loro processi mentali sottostanti sono gli stessi. L’incidente allo zoo di Brookfield mostra quanto sia difficile evitare l’antroponegazione e l’antropomorfismo allo stesso tempo: nel tentativo di evitare di pensare a Binti come un essere umano, ci imbattiamo direttamente nella consapevolezza che le azioni di Binti hanno poco senso se ci rifiutiamo di presumere intenzioni e sentimenti.
Le lezioni di Frans de Waal
Trovo questa una straordinaria lezione sul metodo scientifico. L’avere presente cosa siano l’antropomorfismo e l’antroponegazione mi ha aiutata anche nella professione di giornalista che scrive di animali — dandomi uno strumento in più per soppesare fonti, notizie e titoli acchiappaclick — e nella mia vita quotidiana, da essere umana che si interfaccia con animali non umani come Willy.
Elisabetta Palagi, etologa e docente del dipartimento di biologia dell'Università di Pisa, nel ricordare de Waal ai microfoni di Radio 3 Scienza, ha dichiarato:
Frans era una persona che non divulgava mai al grande pubblico niente che non fosse passato al vaglio della comunità scientifica internazionale. La serietà di Frans era proprio nel fatto che prima si approccia il lato scientifico, si dimostra il fatto, e poi si va a raccontare. E questo è quello che mi ha insegnato.
Anche questo è un insegnamento importante, per scienziate e scienziati, e per chi si occupa di comunicazione della scienza.
Qualcosa da…
… leggere
📰 Se desideri sapere di più della carriera di Frans de Waal, leggi l’articolo della Emory University per la quale ha lavorato.
📰 Qui la mia recensione dell’ultimo libro pubblicato dal primatologo, Diversi. Le questioni di genere viste con gli occhi del primatologo (Raffaello Cortina Editore, 2022).
📚 Se non hai mai letto le sue opere, potresti iniziare con L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali (Raffaello Cortina Editore, 2020).
… ascoltare
🎧 La puntata di Radio 3 Scienza dedicata al ricordo di Frans de Waal.
… guardare
🎤 Una conferenza TED in cui de Waal parla della moralità nel comportamento animale (con trascrizione in italiano).
Per oggi è tutto.
Ti auguro una serena domenica,
Alessia
Articolo molto bello, grazie