Quella strana questione delle strisce delle zebre
[Foglie sparse #84] Qual è la loro funzione?
Buona domenica!
Ti è mai capitato che un argomento diventasse casualmente ricorrente in un certo periodo della tua vita? A me è accaduto alcune settimane fa con le strisce delle zebre.
Stavo leggendo un libro, quando tra le pagine ritrovo poche righe che affermano che le strisce sul mantello di questi equidi siano un modo per mimetizzarsi e sfuggire a predatori come iene e leoni. Ricordavo uno studio di qualche tempo fa che avvalorava un’altra delle ipotesi sulla funzione delle strisce bianche e nere: in realtà sarebbero utili ad allontanare insetti fastidiosi e portatori di malattie.
Una decina di giorni dopo trovo un commento a un post su Facebook che, tra le altre cose, riportava: «Io ho due cavalli, l’anno scorso li ho dipinti da zebra, un po’ per esperimento (per via degli insetti), un po’ per gioco»1. Ci vorrebbe un’altra newsletter per cercare di capire per quale motivo una persona dovrebbe dipingere un animale “un po’ per gioco”, ma ecco che ancora una volta qualcuno parla delle strisce delle zebre. Mi sono detta che forse sarebbe stato il caso di scriverne su Foglie sparse. Ed eccomi qui!
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A cosa servono le strisce delle zebre? Le ipotesi
È celebre la citazione di Theodosius Dobzhansky, il padre della genetica evoluzionistica, che dichiarò:
«Nulla in biologia ha senso se non alla luce dell'evoluzione».
Quindi è più che lecito da parte di scienziate e scienziati cercare di capire perché le zebre abbiano un disegno così particolare sul loro manto.
La biologia evoluzionistica si interroga sul significato in termini di adattamento di queste strisce ad alto contrasto da un bel po’. Persino Charles Darwin, fondatore della teoria dell’evoluzione, e Alfred Russell Wallace, naturalista e uno dei primi scienziati a studiare l'evoluzione e a sviluppare la teoria della selezione naturale, discussero sull’argomento: il primo affermò che “la zebra è vistosamente striata, e le strisce non possono offrire alcuna protezione nelle aperte pianure del Sud Africa”. Secondo Wallace, invece, risultava “un po’ affrettato dichiarare che le strisce ‘non possono offrire alcuna protezione’”, e che queste potrebbero essere “protettive quando l’animale è a riposo tra l’erba”.
Le ipotesi sulla funzione delle strisce delle zebre hanno continuato a essere numerose e sono state messe alla prova nel corso del tempo. A cosa potrebbero servire, quindi?
Mimetismo, il manto così decorato servirebbe a confondersi con il paesaggio;
confusione nei predatori, nel momento in cui le zebre si muovono in gruppo, per gli animali che le cacciano diventerebbe difficile tracciare la traiettoria della preda designata a causa dell’effetto ottico creato dalle strisce;
benefici nelle interazioni sociali, secondo alcune teorie le strisce stimolerebbero le interazioni sociali tra individui della stessa specie, li indurrebbero a raggrupparsi, orienterebbero il grooming2 su determinate parti del corpo o influenzerebbero la scelta del partner;
termoregolazione, per cui le strisce scure si scalderebbero più rapidamente al sole rispetto a quelle bianche, creando un microcircolo d’aria e favorendo lo scambio di calore;
allontanamento di insetti portatori di malattie, come i tafani.
Nel corso degli anni solo una di queste ipotesi non è stata confutata ed è stata sostenuta da un maggior numero di evidenze scientifiche. La ricerca più conosciuta è probabilmente quella pubblicata nel 2019 su PLOS ONE.
Cavalli travestiti da zebre e insetti che non riescono ad atterrare
Tim Caro, professore di biologia all’Università di Bristol, specializzato nello studio dell’evoluzione della colorazione nei mammiferi, si occupa da anni di capire la funzione delle strisce delle zebre. Già nel 2014, con il suo gruppo di ricerca, aveva pubblicato su Nature communications un articolo intitolato — neanche a dirlo — The function of zebra stripes3 in cui, per testare le cinque ipotesi, sono state analizzate le differenze del mantello di diverse specie e sottospecie di equidi, tra cui le zebre, e messe in relazione con i loro luoghi d’origine, tenendo conto di diversi fattori, tra cui il clima, la vegetazione, i predatori e anche la presenza di tafani. Il ruolo “scaccia insetti” risultava il più supportato, ma è con gli esperimenti descritti nel lavoro pubblicato su PLOS ONE che questa curiosa spiegazione ha raggiunto il grande pubblico.
Gli studiosi hanno esaminato il comportamento dei tafani4 in prossimità di zebre di pianura (Equus quagga) in cattività e di cavalli domestici di colore uniforme che vivevano in un allevamento nel Regno Unito. Le osservazioni hanno mostrato che, per unità di tempo, atterravano meno insetti sulle zebre che sui cavalli, sebbene la quantità di tafani che giravano intorno o toccavano brevemente gli equidi coinvolti non differissero.
A un certo punto l’esperimento si fa più interessante e ai cavalli vengono fatti indossare mantelli di stoffa di differenti colori.
Quando i cavalli hanno indossato mantelli con la decorazione a strisce, molti meno insetti toccavano o atterravano sui loro corpi rispetto a quando erano coperti da stoffe in tinta unita bianche o nere (sarà stata questa la fonte di ispirazione dell’autore del commento su Facebook?). Non c’erano differenze, invece, rispetto all’attacco degli insetti sulle loro teste, prive di strisce bianche.
Le analisi dei video registrati dai ricercatori hanno rivelato differenze nella velocità di avvicinamento dei tafani, che non riescono a rallentare mentre si avvicinano al corpo delle zebre, una manovra fondamentale per un buon atterraggio e un successivo soddisfacente spuntino di sangue. Nello specifico, il disegno a strisce bianche e nere sembra interferire sul volo degli insetti a distanze ravvicinate.
Le conclusioni del lavoro di ricerca effettivamente non dovrebbero stupirci: in Africa, luogo di origine delle zebre, i tafani trasmettono malattie che possono essere letali, come la tripanosomiasi e la peste equina africana. È per questo motivo che questi animali utilizzerebbero la loro colorazione particolare, ma anche comportamenti come scappare e agitare la coda, per allontanare gli insetti.
Nuove conferme e qualche curiosità
Sono stati svolti altri studi che hanno confermato la funzione anti-insetto del mantello delle zebre e hanno indagato i motivi per cui i tafani sembrano avere difficoltà nell’atterraggio su una superficie a strisce bianche e nere, o meglio quali siano i meccanismi legati alla visione che li ostacolano (e, ancora una volta, dei cavalli sono stati coperti con vesti di strane fantasie bicolore).
Sono, però, rimasta colpita da due pubblicazioni: la prima, sempre su PLOS ONE, mostrerebbe come anche alcune mucche (gli esperti le chiamano vacche, è la definizione corretta in ambito scientifico) su cui sono state dipinte delle strisce bianche sarebbero state attaccate meno dagli insetti; la seconda, apparsa su Royal Society Open Science, ha un taglio antropologico e parla del possibile effetto protettivo contro i tafani della pittura sul corpo — usata come decorazione, espressione di stati emotivi oppure come segno identificativo o di affiliazione a un gruppo — nelle comunità indigene africane, australiane e della Papua Nuova Guinea.
Ora mi è ancora più chiaro da dove possa essere nata l’idea di dipingere dei cavalli “per via degli insetti”. Incomincio a credere che in calce alle pubblicazioni scientifiche e agli articoli di divulgazione sarebbe meglio aggiungere la famosa indicazione Don’t try this at home, quando necessario. Cosa ne pensi?😉
Qualcosa da…
… leggere
📰 Gli articoli del The New York Times e de Il Post sulla ricerca del 2019 condotta da Tim Caro sulla funzione anti-insetto delle strisce delle zebre.
Ci risentiamo tra due settimane per salutarci prima della pausa estiva.
Alla prossima!
Non riporto qui il link o lo screenshot del commento perché non è mio interesse sottoporre all’attenzione altrui una condivisione serena e civile di un’esperienza e di un pensiero, per quanto io possa non essere d’accordo su alcuni aspetti. L’ho semplicemente reputato un buono spunto per parlare dell’argomento di questa newsletter.
Il grooming può essere definito come il comportamento di cura delle superfici del corpo, il quale può essere effettuato da un animale sul proprio corpo o su quello di un altro individuo della stessa specie.
Tim Caro ha anche scritto un libro sull’argomento, Zebra Stripes (The University of Chicago Press, 2016).