Animali brutti e come salvarli
[Foglie sparse #99] Anche il mondo della conservazione soffre di pregiudizi verso le specie meno affascinanti?
Buona domenica!
Ti è mai capitato di ascoltare l’intervista di qualche attrice o attore particolarmente avvenente a cui chiedevano — in maniera molto originale e per niente banale 😜 — se la bellezza li avesse aiutati a costruire la propria carriera? A parte la risposta più o meno sincera, non possiamo negare che un bell’aspetto eserciti su di noi un certo appeal. Purtroppo, l’attrazione verso il fascino e la bellezza può condizionare anche lo sviluppo e il finanziamento di progetti di conservazione della biodiversità, privilegiando le specie più gradevoli a scapito di quelle più brutte ma a rischio di estinzione, e che magari rivestono ruoli essenziali per gli ecosistemi di cui fanno parte. Uno studio pubblicato su PNAS - Proceedings of the National Academy of Sciences ha confermato che gli animali ritenuti brutti e pericolosi sono discriminati nella distribuzione di fondi di ricerca per la loro salvaguardia.
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The Ugly Animal Preservation Society
L’animale che ti sta fissando nella foto qui sopra è un axolotl (Ambystoma mexicanum), un anfibio che vive nelle acque del lago di Xochimilco, in Messico, e che è stato inserito nella lista rossa dell’IUCN - International Union for Conservation of Nature, come specie in pericolo critico di estinzione. L’inquinamento e la contaminazione batterica delle acque in cui vive, il passato saccheggio di esemplari per il commercio internazionale come animali da compagnia o la cattura per farne cibo hanno minacciato la sua esistenza in natura.
L’axolotl è uno dei protagonisti del libro The Ugly Animals. We can’t all be pandas (in italiano Gli animali brutti. Non possiamo essere tutti panda) di Simon Watt. Nel 2012, Watt — biologo e presentatore televisivo britannico — ha fondato The Ugly Animal Preservation Society, un contenitore per promuovere una serie di iniziative che riuscissero a sensibilizzare il pubblico nei confronti di quegli animali non proprio fotogenici. Il libro è uno dei prodotti di questo progetto, che ha previsto delle serate di stand up comedy ed eventi in scuole e università per riuscire a catturare l’attenzione delle persone sulla scarsa salvaguardia di specie poco attraenti.
La nostra attrazione verso alcuni particolari animali può essere realmente un problema per la conservazione? Spoiler: la risposta è affermativa e le radici di queste nostre preferenze sono molto più profonde di quanto probabilmente tu possa immaginare.
Ci piacciono pucciosi e carismatici
Mentre scrollavi il feed di un qualsiasi social media, ti sarà capitato di fermarti davanti all’immagine di un cucciolo di gatto o di cane: la testa tonda e quegli occhioni meritavano uno sguardo in più, vero? Noi esseri umani siamo istintivamente catturati da ciò che è puccioso ed è stato proprio Konrad Lorenz, tra i fondatori dell’etologia, a spiegarne il motivo nei lontani anni Settanta.
Si chiama baby schema ed è quell’insieme di caratteristiche quali testa grande, viso rotondo, fronte alta e sporgente, occhi grandi e naso e bocca piccoli, tipici dei cuccioli di animali umani e non, che stimolano in noi comportamenti di accudimento e di cura nei confronti di chi li possiede.
È un istinto che è stato parecchio usato, ancora prima dell’era dei gattini sui social: ne sapeva qualcosa Walt Disney che rese irresistibili i suoi personaggi con i loro tratti arrotondati e gli occhioni dolci. Oltre alla trasformazione di Topolino nel corso degli anni, non posso non citare Bambi, il piccolo di cervo che dà il nome al famoso lungometraggio disneyano del 1942.

È il film che ha traumatizzato un bel po’ di generazioni1 e dà il nome all’effetto Bambi, che consiste nell’obiezione all’uccisione o alla procurata sofferenza di animali percepiti come carini. Siamo affascinati dagli animali teneri, ma anche da quelli di grandi dimensioni che suscitano in noi ammirazione, timore e curiosità, come balene, elefanti, gorilla e tigri, ossia la cosiddetta megafauna carismatica.
Questa predilezione diventa un’attrazione fatale per tutte le altre specie che non ricevono attenzione non solo dalle persone comuni, ma da associazioni che si occupano di conservazione della natura, ricercatrici e ricercatori ed enti e istituzioni che finanziano i progetti di salvaguardia della biodiversità. Questo genere di pregiudizio è conosciuto da decenni e nello studio pubblicato su PNAS c’è l’ennesima triste conferma.
Animali discriminati perché brutti e pericolosi
Lo studio, condotto dai gruppi di ricerca dell’Università di Hong Kong e di Firenze, denuncia una distribuzione non equa dei fondi mondiali, sia pubblici che privati, destinati alla salvaguardia della biodiversità. In particolare, sono stati analizzati circa 14.600 progetti di conservazione globali nell’arco di 25 anni, dal 1992 al 2016, e i dati raccolti hanno rivelato una suddivisione non equilibrata affetta da pregiudizi legati alla specie a cui erano dedicati. Prima di continuare diamo un’occhiata ai numeri.
Secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN, quella della Lista rossa di cui ho scritto qualche paragrafo fa), delle oltre 2 milioni di specie che vivono sul nostro pianeta, più di un milione sono insetti e si scende alle migliaia per uccelli, rettili e mammiferi.

Tra gli animali maggiormente minacciati dal rischio di estinzione ci sono ai primi posti anfibi, pesci cartilaginei (squali e razze) e crostacei.
I dati riportati su PNAS descrivono una situazione che stride con ciò che hai letto fino a ora: l'82,9% dei finanziamenti è stato destinato ai vertebrati, mentre le piante e gli invertebrati (tra i quali figurano gli insetti) hanno ricevuto ciascuno solo il 6,6%. Funghi e alghe sono quasi non pervenuti con meno di 0,2% e di 0,1% di finanziamenti indirizzati a loro.
All'interno dei vertebrati, mammiferi e uccelli ricevono dal 70 all'85% delle risorse totali, mentre gli anfibi meno del 2,8%.
Tra i mammiferi, poi, ci sono “figli e figliastri”: animali come roditori e pipistrelli ricevono finanziamenti limitati nonostante comprendano numerose specie minacciate, e la famosa megafauna, tra cui primati, canidi come i lupi, felidi come leoni e tigri, cetacei, elefanti, rinoceronti, che rappresentano solo un terzo dei mammiferi minacciati, assorbono l'86% delle risorse. Tra i rettili sono le tartarughe e le testuggini a ricevere un trattamento di favore, così come i rapaci diurni tra gli uccelli, e api, farfalle e coleotteri tra gli insetti.
Gli autori dello studio sottolineano, inoltre che, paradossalmente, mentre circa il 6% delle specie identificate come minacciate ha ricevuto supporto economico per la conservazione, il 29% dei fondi è stato destinato a specie classificate come di “minima preoccupazione” nella lista rossa IUCN.
Come fare a correre ai ripari?
Ricerca, citizen science e, perché no, un po’ di stand up comedy
È emerso quanto i nostri pregiudizi verso gli animali brutti e pericolosi possano in qualche modo infiltrarsi in ambiti come quello della ricerca e conservazione. Cosa fare a questo punto?
Come potrai immaginare, in una situazione di emergenza come la nostra, davanti a quella che viene definita la sesta estinzione di massa, le risorse sono poche e le specie da salvare sono troppe.
Puoi pensare alla scelta delle specie su cui concentrarsi come a un triage2, in cui la priorità dovrebbe essere assegnata in base a criteri come il ruolo ecologico, la fattibilità di un progetto di recupero, l’interesse scientifico ed economico o il significato culturale. Il valore estetico e l’appeal non dovrebbero figurare in questo elenco.
Per quanto riguarda i “piani alti”, autrici e autori della pubblicazione su PNAS confessano che determinare le priorità e allocare le risorse in modo sensato rimane una sfida. Le conoscenze di base sono scarse per la maggior parte delle specie (ad esempio, artropodi e funghi) e molte di esse non sono ancora state descritte scientificamente, ostacolando la nostra capacità di valutarne e affrontarne le esigenze di conservazione. Anche la comprensione dei livelli di minaccia per i diversi gruppi di animali e vegetali non si sente tanto bene. Infine, c’è un problema che riguarda la letteratura scientifica: le raccolte di pubblicazioni scientifiche sono adoperate per la valutazione della distribuzione di risorse e programmi per la conservazione, tuttavia potrebbero non essere rappresentative poiché esistono progetti di salvaguardia che interessano specifiche aree e territori e che non vengono tradotte in pubblicazioni internazionali.
Enti, associazioni e istituzioni dovrebbero considerare di riallineare le proprie priorità alle minacce reali, invece che concentrarsi sulle specie che piacciono di più al pubblico che, a sua volta, può essere educato ad apprezzare anche gli animali brutti. Del resto qualcuno diceva che “la bellezza è negli occhi di chi guarda” e i progetti di citizen science, la scienza realizzata con il diretto coinvolgimento di cittadine e cittadini, possono aiutare a cambiare il nostro sguardo. Ad esempio, il progetto CSMON-LIFE (Citizen Science MONitoring) ha permesso il monitoraggio di una specie di anfibio minacciata, l’ululone appenninico — non proprio un Adone — di cui i partecipanti probabilmente si saranno innamorati.

Chissà se in Italia un’iniziativa come quella di Simon Watt e la sua The Ugly Animal Preservation Society potrebbe prendere piede. Vedremo mai Stefano Rapone scherzare sulla lucertola delle Eolie e Giorgia Fumo parlare del discoglosso sardo?
Qualcosa da…
… leggere
📰 Ho scritto dell’effetto Bambi e delle sue conseguenze sulla conservazione della biodiversità in un articolo per Aula di Scienze Zanichelli.
👉 Ho accennato ai mancati investimenti anche per la salvaguardia delle piante. Il mondo vegetale soffre di un altro tipo di bias (pregiudizio): è la plant blindness. Ne ho parlato qualche anno fa in una delle puntate di Foglie sparse.
👉 Il comunicato stampa sullo studio delle università di Firenze e Hong Kong apparso su Le Scienze.
Buona giornata e a presto,
Alessia
𝘚𝘰𝘯𝘰 𝘈𝘭𝘦𝘴𝘴𝘪𝘢 𝘊𝘰𝘭𝘢𝘪𝘢𝘯𝘯𝘪, 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘢𝘭𝘪𝘴𝘵𝘢 𝘦 𝘥𝘪𝘷𝘶𝘭𝘨𝘢𝘵𝘳𝘪𝘤𝘦 𝘴𝘤𝘪𝘦𝘯𝘵𝘪𝘧𝘪𝘤𝘢. 𝘚𝘤𝘳𝘪𝘷𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘊𝘰𝘳𝘳𝘪𝘦𝘳𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘚𝘦𝘳𝘢, 𝘐𝘭 𝘛𝘢𝘴𝘤𝘢𝘣𝘪𝘭𝘦, 𝘗𝘪𝘬𝘢𝘪𝘢 - 𝘐𝘭 𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘦𝘷𝘰𝘭𝘶𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘈𝘶𝘭𝘢 𝘥𝘪 𝘚𝘤𝘪𝘦𝘯𝘻𝘦 𝘡𝘢𝘯𝘪𝘤𝘩𝘦𝘭𝘭𝘪, 𝘋𝘰𝘨𝘴𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢𝘭 𝘦 𝘢𝘭𝘵𝘳𝘦 𝘵𝘦𝘴𝘵𝘢𝘵𝘦. 𝘘𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘩𝘢𝘪 𝘭𝘦𝘵𝘵𝘰 è 𝘭𝘢 𝘮𝘪𝘢 𝘯𝘦𝘸𝘴𝘭𝘦𝘵𝘵𝘦𝘳, 𝘍𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘴𝘱𝘢𝘳𝘴𝘦, 𝘪𝘯 𝘤𝘶𝘪 𝘳𝘢𝘤𝘤𝘰𝘯𝘵𝘰 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘦 𝘥𝘪 𝘢𝘯𝘪𝘮𝘢𝘭𝘪 𝘶𝘮𝘢𝘯𝘪 𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘶𝘮𝘢𝘯𝘪 𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘢𝘮𝘣𝘪𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘪𝘯 𝘤𝘶𝘪 𝘷𝘪𝘷𝘰𝘯𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘶𝘯 𝘱𝘪𝘻𝘻𝘪𝘤𝘰 𝘥𝘪 𝘤𝘶𝘭𝘵𝘶𝘳𝘢 𝘱𝘰𝘱. 𝘈𝘳𝘳𝘪𝘷𝘢 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘵𝘶𝘢 𝘤𝘢𝘴𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘥𝘪 𝘱𝘰𝘴𝘵𝘢 𝘦𝘭𝘦𝘵𝘵𝘳𝘰𝘯𝘪𝘤𝘢 𝘰𝘨𝘯𝘪 𝘥𝘶𝘦 𝘥𝘰𝘮𝘦𝘯𝘪𝘤𝘩𝘦. 𝘚𝘦 𝘵𝘪 è 𝘱𝘪𝘢𝘤𝘪𝘶𝘵𝘢, 𝘤𝘰𝘯𝘥𝘪𝘷𝘪𝘥𝘪𝘭𝘢!
L’infanzia dei Millennial — e forse di una manciata di generazioni precedenti — è stata turbata dalla scena della morte della mamma di Bambi. Qui il link al video se non sai di cosa parlo o se sei abbastanza masochista da ripetere l’esperienza.
Come riporta Treccani, il triage è il metodo di valutazione e selezione immediata usato per assegnare il grado di priorità del trattamento quando si è in presenza di molti pazienti, oppure quando c’è un’emergenza extraospedaliera e si deve valutare la gravità delle condizioni cliniche del paziente. La scorsa newsletter mi ha riportato alla memoria termini e procedure presenti nel primo soccorso.